Perché aiutiamo gli altri? Diversi tipi di altruismo
L’altruismo è un fenomeno affascinante che è stato oggetto di studio in varie discipline e, ovviamente, in psicologia. Ma perché alcune persone si sentono spinte ad aiutare gli altri senza aspettarsi nulla in cambio? Cosa succede nel nostro cervello quando realizziamo azioni altruistiche?
Come s’intende per altruismo?
L’altruismo viene definito come un comportamento volontario e disinteressato che ha come obiettivo il benessere degli altri, anche a costo della perdita di benefici personali. Anche se è normale che le nostre azioni siano influenzate da qualche tipo di ricompensa emotiva o sociale, l’altruismo è caratterizzato dall’assenza di interesse egoistico diretto e dalla volontà di aiutare senza aspettarsi nulla in cambio. Questo fenomeno mette in discussione l’idea che gli esseri umani agiscano solo nel loro interesse e solleva interrogativi sulle origini della nostra natura sociale e sulla nostra capacità di mostrare empatia e compassione verso gli altri.
Abbiamo un cervello altruista?
Questo fenomeno curioso ha spinto numerosi ricercatori a cercare una spiegazione scientifica e le sue correlazioni con il cervello. I progressi nella ricerca neuroscientifica hanno fatto luce sulle basi cerebrali dell’altruismo, rivelando che il cervello umano è intrinsecamente preparato per rispondere a situazioni altruistiche. Uno degli aspetti principali nello studio dell’altruismo è il rilascio di alcune sostanze chimiche nel cervello, come l’ossitocina, conosciuta come “ormone dell'amore” o “ormone dell’attaccamento”. L’ossitocina svolge un ruolo cruciale nella formazione dei legami emotivi ed è associata a sentimenti di empatia e disponibilità ad aiutare gli altri. Diversi studi hanno dimostrato che livelli elevati di ossitocina nel cervello sono collegati a un aumento della disponibilità delle persone a collaborare, condividere risorse e fornire sostegno emotivo e fisico a chi ne ha bisogno. Questo fa pensare che l’ossitocina può agire come facilitatore biologico del comportamento altruistico. Oltre all’ossitocina, anche le aree cerebrali coinvolte nella ricompensa e nel piacere svolgono un ruolo importante nell’altruismo. Studi di risonanza magnetica funzionale hanno dimostrato che queste aree, come il nucleo accumbens e la corteccia prefrontale ventromediale, si attivano quando realizziamo azioni altruistiche o sperimentiamo la soddisfazione emotiva di aiutare gli altri: queste risposte cerebrali suggeriscono che può generare un senso di benessere e gratificazione personale.
In altre parole, il cervello può associare l’altruismo a esperienze piacevoli, rafforzando ulteriormente la nostra disponibilità a compiere azioni altruistiche in futuro. In più, è stato osservato che l’altruismo può avere effetti benefici anche sulla nostra stessa salute e sul nostro benessere psicologico. Numerosi studi hanno dimostrato che le persone che si comportano in modo altruistico mostrano livelli più elevati di soddisfazione, minore incidenza di depressione e ansia e un maggiore senso di connessione sociale e scopo nella vita. Quindi l’altruismo è un atto generoso o egoistico?
Modello di altruismo egoistico
A partire da questa domanda nasce il modello dell’altruismo egoistico il cui principale rappresentante è Richard Dawkins. Questo modello propone che le nostre azioni altruistiche possono anche essere guidate da un beneficio personale indiretto. Secondo questa teoria, aiutiamo gli altri perché ci dà un senso di gratificazione o migliora la nostra reputazione sociale. In tal senso, l’altruismo egoistico ipotizza che le nostre azioni altruistiche non sono completamente disinteressate, ma sono influenzate anche dalla ricerca di ricompense emotive o sociali. A questo proposito, Dawkins propone la teoria della selezione per parentela all’interno del suo libro The Selfish Gene. Secondo questo biologo e scrittore britannico, i geni sono i veri motori dell’evoluzione e il comportamento altruistico può essere spiegato in termini di massimizzazione della sopravvivenza e della riproduzione dei geni stessi. Secondo questa prospettiva, l’altruismo può emergere come una strategia evolutiva indiretta che facilita la diffusione dei geni condivisi da individui legati geneticamente, anche a costo di un sacrificio personale.
Modello di altruismo puro
In contrasto con l’altruismo egoistico si trova il modello di altruismo puro di Batson, uno psicologo sociale, che ha sviluppato un modello conosciuto come “altruismo puro”. Questo modello afferma che l’altruismo si basa sull’empatia e sulla sincera preoccupazione per il benessere degli altri, senza alcun tipo di motivazione egoistica sottostante. Secondo questo approccio, quando ci mettiamo nei panni di qualcuno che ha bisogno di aiuto, proviamo un impulso naturale e automatico a sostenerlo. Questo impulso ha origine nella nostra capacità innata di empatia, cioè la capacità di comprendere e condividere le emozioni degli altri. L’empatia ci consente di entrare in contatto emotivamente con le esperienze degli altri e ci motiva ad agire per alleviare la loro sofferenza.
Il modello di altruismo puro sottolinea l’importanza della connessione emotiva e un sincero desiderio di aiutare gli altri. Secondo Batson, quando ci troviamo di fronte a situazioni che riguardano la sofferenza o il bisogno di un’altra persona, proviamo una sensazione di angoscia empatica. Per ridurre questo disagio, sentiamo un forte impulso ad agire per aiutare, poiché il nostro obiettivo principale è quello di alleviare la sofferenza degli altri. Questo modello non nega la possibilità di ricompense personali, però afferma che non è la principale motivazione di fondo per aiutare gli altri.
Altri modelli
Esistono anche altri modelli come quello dell’apprendimento sociale per spiegare il comportamento altruistico. Secondo questo modello, attraverso l’osservazione, l’apprendimento di capacità sociali ed emotive e l’interiorizzazione delle norme sociali, possiamo acquisire e sviluppare comportamenti altruistici. L’apprendimento sociale ci dà l’opportunità di far parte di comunità altruistiche e di contribuire alla costruzione di una società più solidale e compassionevole.
In conclusione, indipendentemente dalla spiegazione scelta, l’atto di aiutare gli altri rimane una manifestazione inestimabile ed essenziale della nostra natura umana e della nostra società. Man mano che esploriamo e promuoviamo l’altruismo nelle nostre vite, possiamo sostenere società più solidali, empatiche e collaborative, costruendo un mondo in cui il benessere collettivo è una priorità condivisa. Ricevere aiuto facilita il sentimento di appartenenza a un gruppo e risveglia emozioni come la gratitudine o le capacità sociali. Al contrario, la mancanza di aiuto, soprattutto nei primi momenti della nostra vita, può portarci a sviluppare un problema di attaccamento o sintomatologia clinica. Se questo è il tuo caso, puoi sempre consultare un professionista della psicologia per migliorare la tua salute mentale.